Inside out 2: crescere guardandosi dentro
Non è mai facile realizzare il sequel di un film che non faccia rimpiangere il numero uno, figuriamoci riuscire addirittura a miglioralo, ma Inside out 2 è decisamente il film di animazione che ha superato le aspettative.
L’originale l’ho visto a casa e svariate volte. Con una bambina che all’epoca aveva quattro anni, la visione è stata pressoché quotidiana fino a quando non ha deciso di virare su un altro film.
Inutile dire che gli spettatori più attenti siamo stati io e mia moglie. Un film commovente ancora di più perché ci ha fatto proiettare nella vita e nella testa di Irene – di lei ho parlato qui qualche anno fa – immaginando la sua crescita e chiedendoci, più di quanto già facciamo in ogni istante, quanto e come si influisce nella vita dei figli con ogni atteggiamento, ogni parola, ogni gesto.
La consapevolezza e l’attenzione che si può mettere nell’interazione con i figli dipende da moltissimi fattori. La cosa più importante che io e Valentina abbiamo imparato è che non conta la quantità di tempo che si può dedicare ai bambini ma la qualità.
Serve del tempo esclusivo per ascoltarli, per porre le giuste domande, usando il giusto tono. Serve la pazienza, tanta pazienza per interpretare il capriccio, il silenzio capendo che, come per un piccolo albero, la crescita futura dipende dalle radici, dalla qualità del rapporto che si crea partendo dal presupposto che i bambini sono delle persone come noi, soltanto con meno esperienze che per quanto possano essere filtrate dai genitori devono anche essere lasciate fluire.
E’ emblematico, infatti, vedere che gli stessi personaggi che popolano la mente di Riley, siano presenti nella mente dei genitori. Tristezza, Rabbia, Paura, Disgusto e Gioia hanno i loro alter ego nella mente di mamma e papà e prendono il controllo della consolle in base alle situazioni.
L’obiettivo è sempre quello di aiutare la figlia, soprattutto nei momenti cruciali e più importanti, ma il film spiega bene che anche le scelte sbagliate servono, che ogni emozione deve essere lasciata fluire perché ha la sua utilità nel processo di crescita.
In Inside out è Tristezza a dare la svolta alla storia e anche in questo sequel, con l’aiuto di Imbarazzo, la piccola occhialuta ragazzina blu, riesce a scuotere Riley che in questo film ha 13 anni, un’età difficile ma fantastica annunciata nel primo film dal tasto PUBERTA’ in bella vista sulla nuova consolle.
Mia figlia ha oggi quasi sei anni ed è ancora lontana – in verità non tantissimo se penso a come sono volati questi anni – da quella rivoluzione ormonale che porterà “l’isola dell’amicizia” a sovrastare quella della “famiglia”, ma mentre guardavamo il film al cinema, in me si rafforzava il convincimento che i genitori hanno un ruolo essenziale che però è soggetto a regole specifiche.
La più importante è che i genitori devono esserci sempre ma devono accettare di intervenire quando il loro aiuto è richiesto perché il rischio di apparire invadenti è altissimo man mano che si cresce e fino a quando i figli non sono persone formate con le quali si può discutere da pari.
Non è un caso infatti che il sequel racconti l’esperienza di Riley al campo estivo di hockey e che i genitori abbiano un ruolo marginale comparendo all’inizio e alla fine del film.
La madre subisce lo sclero poco prima della partenza per il campo e il padre si trova spiazzato dalla naturalezza con la quale la figlia, nel salutarli, trasmette una spensierata indifferenza all’idea di stare lontana dai genitori per tre giorni.
Genitori che riappaiono alla fine del film quando Riley, tornata a casa, liquida con “sarcasmo” le loro domande.
Eppure in quei tre giorni la ragazzina vive un’esperienza intensissima fatta di delusioni, insicurezze, tentativi di essere accettata da un nuovo gruppo, distacco dalle vecchie amicizie, introspezione, noia, imbarazzo e Ansia… tanta ansia.
E’ questa la protagonista del film che prende il sopravvento su Gioia tentando di evitare a Riley ogni problema ma finendo per creare un gran caos.
Se Paura nel primo film cercava di proteggere Riley facendo tesoro delle esperienze passate, Ansia si proietta nel futuro immaginando gli scenari più catastrofici. Una pratica utile che se portata all’estremo rischia però di prendere il sopravvento causando danni fino a creare una Riley diversa, un surrogato della vera Riley che agisce per piacere agli altri mettendo a dieta la sua identità.
La soluzione finale è l’equilibrio dato dalla capacità di autoanalisi, l’introspezione sincera e schietta, lo sguardo dentro sé stessi per ritrovarsi e riprendere il controllo della propria vita capendo che non esiste un modo giusto o sbagliato di essere e di vivere, semplicemente bisogna darsi la possibilità di essere sempre sé stessi.
“Fai del tuo meglio e divertiti” ho detto ad Irene alla fine del film cercando di sintetizzare al massimo il messaggio che il film voleva dare, ma lei aveva già affondato la madre con un semplice “grazie” alla fine del film e un abbraccio commovente. Una parola semplice ma profonda che chissà da quale elaborazione della sua testolina è venuta fuori ma che abbiamo deciso di prendere per quello che era, senza indagarlo ulteriormente perché in fondo in fondo in quel “grazie” c’era il riconoscimento che magari non stiamo facendo un cattivo lavoro.
Ps.: al cinema c’era anche Daria, la piccola di casa. Due anni e mezzo di energia che non avrà compreso proprio tutto ma a modo suo ha assorbito tanta bellezza. Ne riparleremo tra qualche anno.
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