De. Co.: tradizione e identità per il futuro
Tra le decine di gruppi WhatsApp in cui siamo inseriti e dai quali spesso non usciamo solo per non urtare la suscettibilità di qualche amico – lo so che è così anche per voi – può capitare che arrivino dei messaggi che veramente risultano interessanti.
Spesso più che dal gruppo nel quale si è inseriti, dipende dal mittente che lo manda perché un’altra caratteristica dei gruppi WhatsApp è che spesso vengono messi su con una funzione specifica o un tema e si finisce per buttarci dentro di tutto.
Nello specifico il gruppo dove è nata questa esperienza è un gruppo dedicato allo sviluppo di un progetto internazionale di reti aziendali in Calabria di cui vi parlerò più avanti, e il messaggio effettivamente poteva apparire fuori contesto.
In ogni caso in questo gruppo arriva questo link ad una pagina Facebook dove veniva presentata una giornata dedicata alle De. Co. che si sarebbe tenuta all’istituto alberghiero di Paola. La persona che mi invitava e che avrebbe parlato al convegno è una persona che stimo e che mi piace ascoltare, il tema era assolutamente interessante, potevo far coincidere altri impegni nella stessa trasferta così ho messo in agenda di partecipare a questo incontro.
Intanto facciamo chiarezza su cosa sono le De. Co. Si tratta dell’acronimo di Denominazione Comunale. Una sorta di carta d’identità che i comuni consegnano a prodotti alimentari e non, per garantire la provenienza da quella terra e dalla tradizione storica di quella popolazione. Facilmente accomunabili ai marchi Doc o Dop le De. Co. sono sensibilmente differenti.
La caratteristica dei prodotti De. Co. è la territorialità, un senso di identità che tramite quel prodotto tipico gastronomico o dell’artigianato, un comune vuole trasmettere. Questa fa capire che non tutto può diventare De. Co. proprio perché affibbiare il marchio a destra e a manca significherebbe svilirne il significato e di conseguenza allontanarsi dall’idea di cristallizzare tramite questo processo la storia di una comunità.
Al concetto di De. Co. è legato indissolubilmente il nome del giornalista Luigi Veronelli e, ritornando al convegno di Paola, quello di Angelo Pagliaro e di Roberto De Donno.
Per quanto riguarda Pagliaro, fu lui nel 2011 a mettere nero su bianco le indicazioni per le De. Co. nella città di San Francesco. Il percorso ripreso dall’amministrazione comunale attualmente in carica – le De. Co. infatti prevedono la costituzione di una commissione apposita in base alla legge 142 dell’8 giugno 1990 – ha avuto in Bruno Sganga il promotore più attivo. Come giornalista che da più di 40 anni si occupa di enogastronomia e di cultura legata alla terra a 360 gradi, e in qualità di vicepresidente della commissione De. Co. di Paola, Bruno ha saputo veicolare il senso e il valore del progetto delle denominazioni comunali facendo rete con i produttori, gli esperti gastronomi, le forze produttive della città.
Già, fare rete. Un concetto che torna come moltiplicatore di positività, come strumento di accelerazione della crescita dei processi prediligendo la le competenze e di conseguenza enfatizzando le qualità. Ed in tale contesto la figura di Roberto De Donno è stata la classica ciliegina sulla torta.
Esperto di Marketing, uomo del sud, ostinato e appassionato, Roberto è una delle persone che ho avuto il piacere di conoscere negli ultimi cinque anni che più è stato ed è in grado di ispirarmi. La sua capacità di coinvolgimento è travolgente. Tramite una comunicazione diretta, mai stucchevole né sorniona, riesce a creare un ponte empatico immediato con l’uditorio. Non puoi, in buona sostanza, restargli indifferente. Può arrivarti invadente a primo impatto perché ti costringe all’interazione, ma bastano pochi minuti per ritrovarsi all’interno del campo comunicativo pienamente partecipe. Quell’attimo di shock emozionale è funzionale a creare la relazione comunicativa nella quale lui si dona completamente e ascoltando un suo intervento non ne esci mai come ne sei entrato.
Anche stavolta Roberto ha spezzato i protocolli parlando senza microfono e scendendo tra il pubblico. Nessun tavolo dei relatori a separarlo dall’uditorio. Nessuna ingessatura, pochi fronzoli, qualche battuta, lo sporadico, mai volgare e pertinente ricorso ad espressioni colorite. Un piacere ascoltarlo e un’occasione per imparare.
E’ stato grazie a queste doti in parte innate, caratteriali, in parte acquisite con studio ed esperienza, che un po’ di anni fa è riuscito ad entrare in simbiosi con Veronelli tanto da essere considerato oggi, insieme a Bruno Sganga, uno dei suoi eredi, dei suoi discepoli come ha fatto intendere.
Roberto ha parlato di passione come motore del mondo professionale. La necessità di una visione chiara come chiave per predicare la propria idea, professare il proprio credo infischiandosene di chi critica, di chi preferisce disfare piuttosto che costruire, di chi pensa e dice, rendendolo poi reale, che è inutile provare perché tanto non cambierà mai nulla.
Si è rivolto ai ragazzi Roberto, soprattutto ai ragazzi, perché raccolgano il testimone non solo delle De. Co. ma dello spirito che c’è dietro alla costruzione di qualcosa che prima non c’era e oggi c’è. Anche perché nel caso delle De. Co. non bisogna inventarsi nulla. Piuttosto serve “studiare, studiare, studiare”, “parlare con i nonni” e ricostruire, valorizzare, innalzare le tradizioni e, tramite i mezzi a disposizione oggi, veicolarli in tutto il mondo.
Naturale ma non scontato che la presentazione ufficiale del risultato di queste iniziative sia avvenuta all’isituto alberghiero di Paola diretto da una paolana doc, Elena Cupello culminato con un ricco buffet che, haimè, ho dovuto disertare per altri impegni. La commissione della città di Paola ha conferito la denominazione comunale alla torta salata rustica nota come “U’ Mpiulato”, un pane ripieno tipicamente pasquale farcito con salumi e formaggi cotto al forno a legna dove vengono bruciate le palme benedette dell’anno precedente; alle ricette speciali che utilizzano la “Vajanedda”, un tipo particolare di fagiolo; e alla conservazione delle “Alici salate alla paolana”. In più si sta lavorando per la De. Co. sulla “Spergia” un particolare tipo di albicocca autoctona di cui sono rimasti soltanto venti esemplari e che si sta cercando di tutelare e diffondere tramite degli innesti, e alla “Cuccìa”, un dolce fatto con cioccolato, grano cotto, noci e uva passa preparato per la ricorrenza del 13 dicembre, giorno dedicato a Santa Lucia.
La De. Co è di fatto un’idea semplice che come tale ha bisogno di un buon grado di sana follia per essere portata avanti. Perché è più facile stupirsi dello straordinario e voltarsi dall’altra parte quando ci si trova davanti a qualcosa di normale. Eppure dietro la normalità c’è una storia, un grande lavoro, spesso la pazienza di poche persone e la passione. Le De. Co., guardate da questo punto di vista racchiudono un tesoro inestimabile che rende attuale e concreto il concetto di Glocal: il locale che diventa globale. Servono però dei profeti, dei discepoli armati di umiltà e pazienza che costruiscano, comune dopo comune, le masse critiche consapevoli.
A queste il compito di comunicare in tutte le lingue del mondo il valore di un territorio, di un piatto della tradizione gastronomica, di uno strumento o di un oggetto dell’artigianato accettando di farsi strumento e abbandonando il protagonismo fine a se stesso buono solo per alimentare l’ego.
Perché gli uomini passano ma quelli che vengono ricordati sono coloro i quali sono talmente folli da battere strade nuove che poi percorrono i savi anche quando si tratta di guardare indietro e restituire valore nuovo a ciò che ha costituito la ricchezza del passato e che può diventare la prospettiva di un futuro nuovo.
Articolo molto interessante