Il momento giusto non esiste

Ci sono delle cose che prima o poi entrano nella tua vita. Ad un certo punto iniziano a spingere e cercano di farsi spazio e tu ti rendi conto che si stanno innestando sotto pelle ma continui a far finta di nulla, come se non ti riguardasse. In verità hai già capito, lo hai avvertito prima ancora che accadesse, che una qualche attrazione reciproca tra te e quel luogo, quella situazione, quella persona esiste, solo che continui ad aspettare che sia il momento giusto.
Questa sensazione la vivo nei confronti del mondo scout. Un’attrazione che non ha origini antiche. Da piccolo non mi ero quasi neanche accorto di questa realtà associativa preso dal correre dietro ad un pallone, eppure anche nel mio paese il gruppo scout è presente da diverso tempo.
Quando mi sono trasferito poco più a nord, diciassette chilometri per l’esattezza, causa matrimonio, ho incontrato uno dei gruppi scout più antichi, credo della regione, quello di Scalea.
Da qui è iniziato un rapporto di avvicinamento lento ed inesorabile. Dapprima mia moglie, lupetto mancato da ragazzina per mancanza di capi e poi, proprio per evitare ai ragazzi di oggi di perdere l’opportunità che aveva perso lei, capo per un periodo breve ma intenso che ha preceduto la nascita di Irene.
“E vieni anche tu”, “E accompagnami”, sapete come le donne riescono ad essere convincenti, per non dire ossessivamente petulanti. Ed eccomi a fare da autista ad un gruppetto di adolescenti o ad assistere alle loro attività.
Quello che mi ha colpito subito è stato l’ambiente sano e la possibilità non solo per i ragazzi ma anche per i capi di una crescita personale. Stare a contatto con i ragazzi mantiene giovani perché sei costretto a calarti nella loro realtà, a guardare il mondo con i loro occhi cercando di avvicinarli ad un punto di vista alternativo, suggerire loro una visione delle cose più matura senza far pesare la differenza di età, rendere in qualche modo naturale ai loro occhi il processo di crescita, i cambiamenti, le sfide e le responsabilità.
Mi sono ritrovato a ragionare sul significato etimologico della parola educare e tutto questo guardando i ragazzi montare una tenda, accendere un fuoco, riunirsi in cerchio, cucinare e litigare e mi è piaciuto.
Ancora non sono così dentro alla realtà scout da farne parte ma quando dal giornale mi hanno chiesto di scrivere di questo microcosmo è stato come ricevere un altro segnale e un altro ancora è arrivato dalla conversazione avuta con Giulia, Marta, Letizia, Sara e Federica.
Mezz’ora di chiacchierata di cui ho racchiuso i passaggi più significati nell’articolo di seguito e di cui conservo un senso di accoglienza e familiarità vissuto insieme a loro. Non sono ancora così dentro la realtà scout da farne parte ma le ragazze mi hanno chiesto esplicitamente di entrare nel gruppo dei capi. Un po’ perché sanno che mancano queste figure, un po’ perché come ha detto Marta “per quel poco che ti abbiamo conosciuto sei abbastanza simpatico”, un po’ perché ci sono delle cose che prima o poi entrano nella tua vita solo che continui ad aspettare che sia il momento giusto.
Ma il momento giusto non esiste. Esiste solo il momento in cui tu decidi di fare un po’ di spazio per esse.
Di slogan e luoghi comuni sul mondo scout se ne potrebbero scrivere a decine ma soltanto dando un’occhiata dal di dentro si può iniziare a scoprire un vero e proprio mondo dove le parole d’ordine sono “responsabilità” ed “entusiasmo”.
E’ Giulia a spiegarci come è strutturato il mondo scout con le sue “branche” e le relative attività. Insieme a Marta, Letizia, Sara e Federica, formano una parte del Reparto Oceano e stanno preparando il passaggio dei più piccoli dai “lupetti” al “reparto”.
E’ un compito che le ragazze vivono con grande partecipazione perché si tratta di un passaggio importante che rappresenta l’ingresso nel mondo dell’adolescenza con tutto quello che ne consegue.
“Questi ragazzi sono fortunati ad avere avuto la possibilità di entrare a far parte degli scout – dice Giulia – e a noi tocca il compito di far capire loro quanto può essere importante per la loro vita continuare il percorso”. Non che si tratti di un club elitario, anzi, tutt’altro. Il fatto è che le liste di attesa sono lunghissime e spesso perché manca la partecipazione degli adulti piuttosto che dei bambini.
Per ogni cinque, massimo otto ragazzi c’è bisogno di un “capo”, un adulto che rappresenti la guida per i vari gruppetti. L’ideale sarebbe accompagnare i “lupetti” fino a diventare capi ma questo non sempre accade.
Anche Marta, dopo sei anni di scoutismo, si era allontanata. La sua idea del futuro è ben chiara già a quattordici anni: vuole fare il primo ufficiale in marina e già pensa che tra poco non avrà tempo per conciliare tutti i suoi impegni quindi di arrivare a fare il capo non se ne parla proprio. “Dopo un anno senza scout però – ci racconta – ho sentito proprio l’esigenza di tornare perché gli scout sono una seconda famiglia, un punto di riferimento, un luogo dove fai nuove amicizie e tanto altro ancora”.
Sara, Giulia, Letizia e Federica invece ci pensano eccome a continuare e ad alimentare il movimento che a Scalea è nato più di 40 anni fa.
Qualcuno ha vissuto l’esperienza indiretta di un fratello, qualcun altro ha conosciuto lo scoutismo dalla compagna di scuola o tramite i genitori di un amico, fatto sta che indossata la camicia e pronunciata la promessa, il più delle volte lo scoutismo ti rimane addosso come una seconda pelle.
“Dobbiamo fare del nostro meglio per aiutare gli altri – ci ricorda Federica – e non solo perché lo abbiamo promesso ma perché è giusto che sia cosi”.
Gli scout quindi non sono soltanto tende, chitarra e canzoni, camicia e fazzolettone ma un modo di interpretare la realtà finalizzato a migliorare la società tramite l’esempio seguendo leggi rigide ma soprattutto facendo leva sull’etica e sulla morale.
“Non devi dare per ricevere – dice Sara – devi farlo perché è giusto. Spesso rischiamo di seguire esempi sbagliati cosa che agli scout non succede, mentre spesso i nostri coetanei non ci pensano ad aiutare gli altri, non li rispettano”. La ferita aperta di episodi di bullismo subìti a scuola si riapre. Una ferita che si è rimarginata anche grazie agli insegnamenti ricevuti agli scout.
“Intanto oggi di bullismo se ne parla troppo, e spesso cose piccole vengono fatte passare per bullismo, ma nelle situazioni particolarmente gravi bisogna denunciare e parlare con i più grandi senza dimenticare che anche i bulli vanno aiutati perché sono spesso loro ad avere dei problemi”.
Michele e Veronica, i capi del Reparto Oceano, da lontano aguzzano l’udito per ascoltare la conversazione. “Sono il nostro punto di riferimento – conferma Letizia – quelli che controllano e rimettono le cose a posto ma anche quelli ai quali ti puoi rivolgere se non riesci a parlare a casa di qualcosa” e i loro occhi iniziano a luccicare orgogliosi per attestato di stima e riconoscenza che vale più di una medaglia.
pubblicato sulla Gazzetta del Sud il 15 ottobre 2019