L'Appunto.net

Luoghi comuni, come mettere “sottosopra” i pregiudizi

Se è vero come è vero che nulla accade per caso, non sarà stata una coincidenza che il convegno on line sulla lotta agli stereotipi organizzato da Sottosopra Scalea movimento giovani per Save the Children, sia coinciso con la prima giornata di zona rossa in Calabria.

Una coincidenza che punta l’accento ancora una volta sul tema della resilienza oramai al centro dell’agenda politica nazionale e del linguaggio quotidiano a causa della, o forse sarebbe il caso di dire grazie alla pandemia.

Perché anche in questo caso, al netto delle indiscutibili difficoltà che il Covid ha portato nella società, esso, come tutte le crisi, è stato, per chi ha saputo coglierle, portatore di opportunità.

Personalmente, l’occasione di partecipare a questo incontro con docenti, operatori del terzo settore e soprattutto studenti delle scuole superiori del territorio, è stato un motivo di grande interesse perché di pregiudizi non se ne parla mai abbastanza ma, soprattutto argomenti come questo non si portano mai abbastanza negli ambienti dove è necessario discuterne, gli ambienti dove determinate tematiche, se subite, possono fare più male e lasciare segni indelebili, ovvero tra i ragazzi.

Vedere e ascoltare ragazzi non ancora diciottenni impegnati con consapevolezza e maturità nell’affrontare il tema del pregiudizio sicuramente è un grande bagliore di speranza. Quando Ilaria parla di “voglia di esserci”, di “cambiamento sociale”, di “ascolto”, di “idee ed obiettivi” capisci che le nuove generazioni che stanno soffrendo in questi mesi l’isolamento, allo stesso tempo stanno piantando quei semi di cambiamento sociale che, si spera, possano germogliare nella direzione di quello che banalmente viene definito un “mondo migliore”.

L’incontro dell’altra mattina inevitabilmente mi ha portato alla mente le recenti esperienze in qualità di esperto nei laboratori di giornalismo di alternanza scuola lavoro facendomi ricordare di numerosi spunti e dibattiti avuti con ragazzi che rappresentano per me una generazione nuova ma che, per effetto del più classico eterno ritorno, si ritrovano, nonostante il cambiare dei tempi ad affrontare le stesse situazioni.

Sicuramente sono cambiati gli strumenti di cui potersi dotare e non mi riferisco soltanto a quelli tecnologici. Negli ultimi vent’anni molto si è fatto in termini di approccio didattico e tantissimo si è investito sul sociale anche se le risorse in questo campo non sono mai abbastanza.

Non è questione di stilare una classifica di merito tra i docenti della mia generazione che anzi può sicuramente ricordare esempi di grande valore non solo culturale, e quelli di oggi, ma senza dubbio sono cambiate le dinamiche dell’insegnamento e dell’apprendimento con ragazzi molto stimolati e invogliati, giusto per citare un classico della cinematografia mondiale a me molto caro, a trovare la propria voce.

E la voce dei ragazzi dell’ISS Lopiano di Cetraro, di quelli del Punto Luce, dei docenti del Liceo dello Sport di Cetraro e dell’istituto superiore di Diamante, oltreché di dirigenti di società sportive dilettantistiche, ha offerto innumerevoli spunti da collegare in mappe concettuali da tenere bene a mente per evitare di scadere nei luoghi comuni, vere e proprie trappole cognitive ed emozionali che rischiano, come tutti i limiti, di ridurre drasticamente le possibilità esperienziali e, quindi, di arricchimento.

Da parte mia ero stato chiamato dall’amico Giuseppe Galiano che ringrazio ancora, a parlare di pregiudizio e comunicazione, di come, in buona sostanza, la scelta e l’uso delle parole condiziona non solo l’immagine che noi stessi abbiamo e diamo di noi ma, come teorizzavano illustri filosofi del linguaggio, come le parole scelte influenzano l’immagine dell’ambiente sociale che condividiamo con gli altri.

La qualità della nostra vita è data dalla qualità delle nostre relazione, le quali, a loro volta sono drasticamente determinate dalla qualità della comunicazione che mettiamo in campo. Ecco che, visti sotto questa ottica, i luoghi comuni smettono di essere dei meccanismi di economia del pensiero utili a interpretare il mondo in una maniera condivisa ma non sempre corretta e finiscono per diventare delle lenti che distorcono la realtà e tutto questo perché la nostra quotidianità è bombardata da miriadi di informazioni da elaborare sempre con minor tempo a disposizione.

Il rapporto tra la quantità di informazioni da gestire, tra gli impulsi cui siamo sottoposti e il tempo materiale che dedichiamo alla codifica di questi è troppo sbilanciato sul primo fattore ed allora i luoghi comuni diventano inevitabili, quasi necessari per sopravvivere ma, allo stesso tempo, deleteri per vivere bene.

E allora come venire fuori da questa spirale in cui abbiamo sempre meno tempo e sempre più informazioni da gestire? La risposta può essere, a mio modesto avviso, soltanto una e risiede nella più grande possibilità che come essere umani abbiamo: il potere della decisione.

Decidere su cosa focalizzare la nostra attenzione e su cosa no senza preoccuparci di non essere “sul pezzo” su qualsiasi argomento perché la comunicazione 3.0 ci ha messo di fronte ad una psicosi imbarazzante: la tuttologia.

Sentiamo come la necessità di dover dire la nostra su tutto, di essere informati ed esperti su tutto ma questo non può essere ed è normale che sia così. Quello che invece possiamo fare è scegliere di cosa interessarci. Ecco un’altra parola fondamentale: interesse.

L’interesse, a mio avviso, è il contrario del luogo comune perché solo quando decido di interessarmi di una situazione, di una persona, posso conoscere veramente a fondo le motivazioni di un atteggiamento, di un comportamento, di una situazione di vita, di una scelta che magari, a primo impatto diventa oggetto del pregiudizio dei più.

Superficialità, conformismo e mediocrità sono solo alcuni degli alimenti del pregiudizio. Di fronte a ciò che si manifesta come diverso, che magari in qualche modo ci turba possiamo decidere di scappare, e sarebbe comunque una scelta legittima o di entrare in relazione. In entrambi i casi sicuramente non faremmo male a noi stessi o ad altri.

L’unico modo per creare disagio, isolamento, finanche violenza di fronte a qualcosa di diverso da come in quel preciso momento storico lo immaginiamo, sia come singoli che come gruppo più o meno allargato, è giudicare, affibbiare un’etichetta.

Ci vuole a volte troppo poco tempo e scarsa riflessione sulle conseguenze ad etichettare qualcuno o qualcosa secondo schemi predefiniti e talmente troppo lavoro, individuale e collettivo per rimettere a posto le situazioni, che sarebbe il caso di evitare quanto più possibile questa pratica e fare in modo che l’utilizzo dei luoghi comuni smetta di essere un luogo comune.