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Guardando Maria

Erano dieci anni o poco più che non partecipavo alla processione del 12 agosto a Diamante.

Il lavoro me lo ha impedito perché ad agosto qualsiasi lavoro fai in un posto di mare lavori il doppio. Come minimo.

Ancora più quando sei la guida di un gruppo di lavoro e decidi che l’esempio è la forma migliore di insegnamento.

Per cui il 12 agosto è stato off limits negli ultimi anni, anche la scorsa estate quando la scelta di disertare la processione è stata consapevole.

Irene è arrivata circa quindici giorni prima e lasciare a casa la mamma fresca di cesareo con la neonata non è stato minimamente in discussione.

Quest’anno le condizioni erano ottime, anche nonostante l’assenza di mia moglie per lavoro e dei miei suoceri per una vacanza-studio (non vedo l’ora di sentirli parlare inglese!!!) che avrebbero potuto tenere la bambina, perché a badare alla cucciola c’erano mia sorella e mia madre.

La prima fresca dell’esperienza di due splendidi maschietti, la seconda con un palmares ben più lusinghiero: oltre ai tre figli tirati su, anche sei fratelli molti dei quali allevati a part time con mia nonna, quando lei però era poco più che una bambina.

Messa in banca la pargola ho raggiunto a passo spedito un altro componente della famiglia, mio padre, che nel solco della tradizione segue da vicino la vita della parrocchia intitolata all’Immacolata.

Il tempo inverte i ruoli e oggi, nonostante lui sia ancora molto -a volte troppo – intraprendente, sono io che mi preoccupo per lui.

Il sole picchiava alle 18 e l’umidità era importante ma il “mister” è ancora in forma e la passeggiata è stata un allenamento per la performance canora con il coro della parrocchia.

Quello che mi ha fatto sorridere invece è stato il suo intervento non programmato. Non mi sono meravigliato di vederlo sbracciarsi nei confronti del sindaco nel tentativo di fargli capire che parlando col microfono rivolto verso le casse dell’amplificazione si stava generando un effetto rimbombo fastidioso per la platea.

Chissà, mi sono chiesto, quanti penseranno “ma che sta facendo quello li” e subito mi sono detto “che personaggio mio padre, pensa più alla buona riuscita della celebrazione che al fatto che qualcuno possa fraintendere il suo dimenarsi fuori programma”.

Al di là dell’inconveniente acustico ho avvertito l’emozione del sindaco. Voce tremante, sguardo rivolto alla Madonna e concetti chiari, impossibili da non condividere. Sicuramente più difficili da mettere in pratica. Ma anche qui dare l’esempio sarebbe una gran cosa, soprattutto iniziando a rivedere l’uso della comunicazione degli ultimi giorni anche se, come si dice cristianamente, chi è senza peccato scagli la prima pietra o, per quelli più addentrati, vedasi parabola della pagliuzza e della trave.

Infine l’omelia del giovane parroco toscano.
Al di là di ciò che ognuno pensa della spiritualità e delle religioni, ascoltare senza filtri aiuta a crescere e comprendere.

Riprendendo la leggenda del ritrovamento della statua dell’Immacolata trovata il giorno dopo essere stata adottata dalla popolazione di Diamante con tre dita aperte in segno di protezione da terremoto, guerra e carestia, don Giancarlo ha rivisitato le tre calamità raccontate nel mito in chiave moderna.

Il terremoto delle famiglie dove nessuno chiede all’altro come stai contribuendo alla frammentazione atomica familiare dove, per citare una canzone della mia gioventù non troppo lontana, “ognuno è chiuso nella propria stanza/l’intolleranza avanza/non c’è speranza”.

La guerra ecologica che stiamo combattendo contro noi stessi mentre noi stessi distruggiamo il pianeta.

E la carestia e la peste del rancore e dell’aggressività xenofobia da sconfiggere proposta tramite l’allegoria della chiave attaccata al braccio della Madonna come invito ad aprirsi alla vita, donandosi all’altro vedasi tema dell’annunciazione.

Chiedere il perché, ha detto don Giancarlo e rispondere evitando di subire passivamente le informazioni che vengono sparate sulla massa.

Un esercizio che ognuno può fare per apportare il suo contributo consapevole, autentico ed unico donando se stessi senza pensare a cosa pensano gli altri.

Un po’ come mio padre sul palco che si dimena per smorzare il rimbombo della cassa. Cerchio chiuso e fine della messa.

Mentre tornavo a casa dei miei per riprendere mia figlia, rivedevo le immagini della giornata e pensavo a cosa avrei scritto stasera.

Il senso era più o meno questo ma mentre me lo immaginavo nella mia mente, frase per frase, parola per parola (che ovviamente non sono queste che avete letto…) mi risuonava una frase dell’omelia: la Madonna è la Regina non perché ha deciso di governare ma perché ha deciso di servire.

Contro i pregiudizi. Per qualcosa di più grande. Come ognuno di noi può fare. Ogni giorno. Più volte al giorno.

Perché, senza scomodare parabole e omelie, come dice una mia cara amica “se stringiamo un po’ l’ego forse ci stiamo tutti”.