L'Appunto.net

Giuseppe, Sonia e l’organetto

Mi sono sempre piaciute le storie di successo. Non perché chi non vince non merita di essere raccontato ma perché dietro ad un traguardo tagliato c’è tanto lavoro, tanti sacrifici, tante ore di allenamento e magari qualche ostacolo che ti arriva anche dagli amici.

Purtroppo non mi sono potuto dedicare spesso a questo tipo di argomenti perché, diciamoci la verità, si tratta di cose che di solito vanno nelle pagine meno importanti dei giornali pur avendo una grande dignità. Da quando scrivo quello che mi piace, il problema è stato superato ed è per questo che quando Sonia mi ha chiamato le ho prestato la massima attenzione.

Non mi sono mai chiesto cosa pensassero gli altri di me, cosa passasse loro per la testa quando mi vedevano di persona essendo abituate magari a vedermi in televisione. Sicuramente non mi vedevano come un divo del grande schermo ma quella scatola una sorta di aura di nonsoché te la mette addosso, volente o nolente.

Sonia mi dava del lei anche se ci conosciamo da molto tempo. Ci siamo visti praticamente ogni mattina per nove anni perché per andare a lavoro passavo di fronte al suo negozio e ci salutavamo almeno con un cordiale buongiorno.

Mi parla del figlio che ha vinto un premio musicale e mentre mi racconta di questo ragazzo ormai 17enne, mi viene in mente che qualche anno prima avevamo ospitato negli studi televisivi un ragazzino parecchio introverso ma che con l’organetto ci sapeva fare.

Non posso certo dire di essere un appassionato di organetto ma soltanto il fatto di aver appreso che quel ragazzino era riuscito a mantenere viva la passione per uno strumento ritenuto erroneamente soltanto “uno strumento popolare e folkloristico” – come se popolare e folkloristico fossero dei difetti – e che a distanza di tanti anni era riuscito a fare qualcosa di veramente grande mi diceva che c’era qualcosa da raccontare.

Non mi riferisco soltanto al titolo mondiale nella sua categoria. Quello, anche nel racconto che me ne avrebbe fatto da lì a pochi giorni Giuseppe, sembrava un traguardo scontato. Un evento naturale, come le maree, o come l’alternarsi delle stagioni. Non era il titolo mondiale l’evento straordinario da raccontare perché quello che Giuseppe aveva fatto di grande era il percorso di crescita per arrivare a quel titolo rinunciando alla “normalità” della quotidianità dei suoi coetanei, facendo ore e ore di esercizio, superando grazie alla musica anche delle difficoltà personali nella fase cruciale della sua giovane età, l’adolescenza.

Insomma la storia di Giuseppe mi interessava e soprattutto mi era piaciuto assaporare il sentimento della madre. Un misto tra orgoglio e senso di responsabilità nei confronti del figlio, tra il desiderio di vederlo volare e il timore che come Icaro possa pensare di arrivare troppo vicino al sole finendo per bruciarsi. Ho accettato l’invito a raccontare la sua storia in occasione della festa organizzata per celebrare il suo traguardo ma ho deciso di incontrarlo prima e non durante o dopo le celebrazioni perché volevo che mi raccontasse le sue emozioni a bocce ferme, con lucidità.

Mi sono ritrovato di fronte un ragazzone che del giovincello visto qualche anno prima aveva soltanto la stessa faccia pulita. Non solo la musica lo ha aiutato nel suo percorso di crescita ma ne ha fatto un ragazzo maturo, disciplinato e determinato. Un ragazzo che ha seguito i suoi sogni, che ha imparato a volare restando coi piedi per terra e che sta iniziando a raccogliere i primi frutti della sua giovane carriera.

Così come è stato finora, tutto dipenderà da lui, perché il miglior talento senza la costanza non sboccia e il miglior maestro del mondo non trasforma un allievo mediocre in un campione.

Per chi associa all’organetto la tarantella la notizia potrebbe essere scontata. Un calabrese campione del mondo al 44esimo premio internazionale di fisarmonica di Castelfidardo. Ma non ditelo a Giuseppe Pio Schettini da Tortora che quel titolo lo ha sognato per anni e che insieme a quanti hanno fatto della fisarmonica diatonica lo strumento della propria vita ha una missione: portare nel mondo la cultura dell’organetto.

A ben vedere Giuseppe è in buona compagnia se si pensa che il PIF è giunto alla sua 44esima edizione vedendo partecipare ogni anno ragazzi di tutte le età e provenienti da ogni parte del mondo. Presupposti che fanno ben sperare nell’ottica di una nobilitazione dello strumento che vanta più di 200 anni di storia.

Il trionfo di Giuseppe è il trionfo della passione, dell’abnegazione, dei sacrifici di tutta la famiglia e del rapporto speciale con il maestro Alessandro Gaudio. Lo nomina in continuazione Giuseppe, descrivendo un rapporto fatto di ammirazione, di profondo rispetto e riconoscenza racchiuso nella frase incisa sulla targa ricordo che ha voluto donargli nel corso della festa organizzata in suo onore dalla famiglia e dagli amici: “Pronuncia sempre con riverenza questo nome: maestro che dopo quello di padre è il più nobile, il più dolce nome che un uomo possa dare ad un altro uomo”.

Sentirlo parlare delle sue esperienze è come trovarsi di fronte ad un veterano. A soli 17 anni Giuseppe ha alle spalle migliaia di ore di musica se si considera che da quando aveva dieci anni si è allenato mediamente 6 ore al giorno. Anche questo fa parte dei sacrifici dei genitori perché, ci spiega Giuseppe, prima di suonare ad altissime velocità come riesce oggi lui, ci vogliono settimane di allenamento a velocità ridottissima per memorizzare i movimenti e gli accordi e quindi il suono è piuttosto monotono.

Un prezzo da pagare per permettersi il lusso di suonare brani come “Il salterello etnico”, tarantella rivista dal maestro Gaudio per organetto a 8 bassi, e Fulmine composizione di Riccardo Tesi rielaborata dal maestro Gaudio che sono valse a Giuseppe il titolo mondiale nella categoria junior che va dai 15 ai 18 anni.

Un traguardo che Giuseppe rincorreva da due anni e raggiunto dopo aver conseguito una 13esima posizione al primo tentativo e la seconda posizione l’anno scorso. La naturale evoluzione del percorso di questa ragazzone dalla faccia pulita ma dalla grande determinazione non poteva che essere il primato mondiale. Per chi ha grandi obiettivi, però, il momento dei festeggiamenti deve finire presto perché bisogna subito lanciarsi in nuove sfide. Una importantissima è al conservatorio Čajkovskij di Nocera Terinese dal quale uscire con un diploma di
laurea in fisarmonica diatonica. Altra sfida sarà quella di continuare a raccogliere titoli mondiali nelle diverse categorie e iniziare a guardare ad un nuovo strumento, la fisarmonica diatonica a 18 bassi che permette di spaziare su più generi musicali grazie alle maggiori possibilità di tendenze timbriche.

Lasciati ormai alle spalle i giorni in cui rimanere a studiare lo strumento mentre gli amici si interessavano ad altre attività poteva essere anche doloroso, Giuseppe ora guarda al futuro e si vede in giro per il mondo a suonare la sua musica e, visti i presupposti, scommettere che ce la farà non sembra affatto un azzardo.

pubblicato su Gazzetta del Sud del 15 novembre 2019